I film del week end


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La fuga di Martha

di Sandro Calice

LA FUGA DI MARTHA

di Sean Durkin, Usa 2011, drammatico (20th Century Fox)
Elizabeth Olsen, Sarah Paulson, John Hawkes, Hugh Dancy, Christopher Abbott, Brady Corbet, Maria Dizzia, Julia Garner, Louisa Krause, Adam Thompson, Allen McCullough.

Non puoi fuggire e nasconderti a lungo dalle tue paure, se il nemico è dentro di te.

Dopo due anni che era scomparsa nel nulla, Martha (Olsen) chiama sua sorella Lucy (Paulson) pregandola di aiutarla. Martha vuole lasciarsi alle spalle una comunità nei boschi dell'Upstate dello Stato di New York e Lucy la porta nella sua lussuosa villa in riva al lago nel Connecticut, dove sta trascorrendo le vacanze col marito Ted (Dancy). Le due sorelle non hanno mai parlato molto, ma ora è anche peggio. Oltre a non voler dire nulla degli ultimi anni, Martha sembra incapace di condurre una vita secondo le normali convenzioni sociali. Da chi fugge? Lei stessa non se ne rende conto, mentre tasselli di ricordi cominciano a ricostruire il recente passato nella sua memoria. La comunità, la fattoria, Patrick, la devozione, la scoperta, la paura, la fuga. Più ricorda, più vive male insieme alla sorella e a suo marito, e intanto ombre sempre più reali tornano a reclamarla.

Buon esordio del regista Sean Durkin, che con “Martha Marcy May Marlene” (titolo originale del film) ha vinto nel 2011 il Premio per la miglior regia al Sundance Festival Sundance e il Prix de la Jeunesse a Cannes. “La fuga di Martha” è un thriller psicologico che parla di sette, plagio e violenza, ma soprattutto della ricerca dell’identità da parte di una ragazza (brava Olsen, anche lei all’esordio) che continua a infrangersi con sofferenza contro un eccesso o l’altro, la vita e la famiglia borghese e la vita e la famiglia sognata, il noioso mondo di regole rassicuranti e la loro (illusoria) totale assenza, che consente che tutto, ma proprio tutto, possa accadere. Il regista, con un buon montaggio e un’adeguata colonna sonora, non svela e non “spiega”, ma ci accompagna alla scoperta attraverso i pensieri e i ricordi della protagonista, tanto che abbiamo una montante sensazione di angoscia senza quasi capirne il perché. Qui forse anche il limite: un pathos che non trova sbocco, che resta sospeso come nell’animo confuso di Martha, che ci lascia in attesa di una soluzione che temiamo non ci soddisferà. O forse, più semplicemente, che non c’è.

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