In ricordo di Federico Caffè


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Il messaggio nella bottiglia

Tra i suoi ex allievi Mario Draghi e Ignazio Visco draghi_visco_296

di Rita Piccolini

A venticinque anni dalla scomparsa dolorosa e inquietante, la notte tra il 14 e 15 aprile del 1987, quando uscì di casa per scomparire nel nulla facendo perdere ogni traccia di sé, il vecchio professore ancora ci parla, e quello che dice è assolutamente attuale. Lo dimostra la folla di studenti presenti alla giornata che la facoltà di Economia della Sapienza di Roma gli ha dedicato, e la partecipazione di professori e economisti suoi allievi, due dei quali particolarmente illustri, il governatore di Banca d’Italia, Ignazio Visco e il presidente della Banca Centrale Europea Mario Draghi.

Mario Draghi arriva ovviamente super scortato, la facoltà in via di Castro Laurenziano è presidiata dalle forze dell’ordine. C’è ressa e confusione all’ingresso, acuita da un sole caldissimo che finalmente annuncia l’arrivo dell’estate. Si respira aria di anni passati, quasi un “deja vu” e le contestazioni sono insistenti. “Fuori i banchieri dell’università” gridano gli studenti all’esterno. Alcuni fanno sventolare da una ringhiera un lenzuolo bianco su cui è scritta una frase del professor Caffè:”Sono convinto che la sovrastruttura finanziario borsistica favorisce un gioco spregiudicato di tipo predatorio ai danni della società”.

Ecco allora il messaggio nella bottiglia, che arriva da lontano, che ancora suscita emozione e fa discutere. “Il messaggio di un dissidente soffocato dalle logiche imperanti”. L’immagine bellissima è di Ermanno Rea, che nel primo intervento mattutino della lunga giornata di ricordi e analisi, quasi un viaggio tra memoria e presente, tratteggia la figura di Federico Caffè e parla dell’enigma della sua scomparsa.

A Mario Draghi spetta il compito di tenere la lezione in omaggio al professore pescarese e quest’anno l’anniversario del suo addio è di quelli che meritano una sottolineatura particolare: sono passati ben 25 anni. Federico Caffè avrebbe 98 anni oggi. Tutti si chiedono chissà cosa direbbe della situazione attuale, della crisi terribile che ha investito quelli che sembravano essere gli Stati più potenti e produttivi del mondo. Cosa sarà dell’Europa, dell’euro, del futuro, soprattutto di quello delle giovani generazioni? Draghi è un allievo di Caffè e lo dimostra quando afferma che “i giovani senza lavoro sono uno spreco. Il loro sottoutilizzo riduce la crescita e non ce lo possiamo permettere. Nel nostro Paese chi è garantito è garantito, ma chi ha perso il lavoro o è in cerca di occupazione è in grande difficoltà”.

“La iniqua distribuzione del peso della flessibilità solo sui giovani, un'eterna flessibilità senza speranza di stabilizzazione – osserva ancora Draghi - porta tra l'altro le imprese a non investire nei giovani il cui capitale umano spesso si deteriora in impieghi di scarso valore aggiunto. Il presidente della Bce cita quindi le parole di Caffè: «Non si può accettare l'idea che un'intera generazione di giovani debba considerare di essere nata in anni sbagliati e debba subire come fatto ineluttabile il suo stato di precarietà occupazionale».

All’interno dell’aula intitolata a Ezio Tarantelli, allievo di Federico Caffè e egli stesso professore di Economia, ucciso dalle Brigate Rosse nel 1985, i rumori della contestazione arrivano attenuati. Paradossalmente queste parole sarebbero apprezzate dagli studenti lì fuori. Non è la prima volta che Draghi dà ragione ai giovani che protestano. Quasi un ossimoro questo visto il ruolo che il presidente della Bce, quale “supertecnico” dell’economia ricopre, e il suo dover fare i conti con la “realpolitick”, le logiche della finanza internazionale, quelle delle politiche monetarie, la spregiudicatezza dei mercati internazionali, la velocità degli spostamenti dei grandi capitali e delle transazioni finanziarie, la speculazione, le strategie e le difficoltà dei singoli Stati, il cinismo e gli egoismi di tutte le parti in causa…Ma il presidente della Bce continua e cita, a proposito di disoccupazione giovanile «l'eccezione significativa della Germania dove il tasso di disoccupazione tra i giovani tra i 15 e 24 anni nel primo trimestre del 2012 è dell'8 per cento; il Italia invece del 34,2%, in Spagna del 50,7 % e nell'area dell'euro in media del 21,9%». Sono dati che destano una profonda inquietudine.

La crescita, spiega Draghi è strettamente connessa all'equità sociale, e ancora una volta è l’allievo di Caffè a parlare :«Crescita ed equità sono strettamente connesse: senza crescita, lo dicono anche gli eventi di questi mesi, prendono forza le tentazioni a rinchiudersi nel proprio particolare, la solidarietà scema. Senza equità, l'economia si frantuma in una moltitudine di gruppi di interesse, il bene comune non riesce ad emergere come risultato dell'interazione sociale ed economica, con effetti negativi sulle capacità di crescita. La recente storia italiana non manca di esempi in questo senso».

Ma sottolinea Draghi, l'Italia fa ancora troppo poco per l'equità generazionale. «In Italia, a fronte di un'incidenza della spesa sociale complessiva sul pil in linea con quella europea, quella di sostegno ai disoccupati e alle famiglie, in particolare quelle a rischio di povertà, si colloca su livelli pari a meno della metà rispetto a quelli europei, mentre la spesa pensionistica è su valori nettamente superiori» ha spiegato il presidente della Bce. Per raggiungere l'obiettivo dell'equità è necessario provvedere a una riforma del welfare che, precisa Draghi «è uno strumento per promuovere in sé inclusione, solidarietà e equità».

E ancora il ruolo delle banche che, per determinare l’aumento dell’occupazione, è necessario che finanzino cittadini e imprese. «Per la crescita e l'occupazione è vitale che le banche si rimettano nella condizione di finanziare l'economia» afferma e poi, riferendosi di nuovo alla lezione di Caffè conclude: ”L’Economia non è una scienza triste, ma deve coniugare crescita e equità” accompagnata da una vera comprensione delle dinamiche sociali. Fin qui il presidente dalla Bce.

Ma prima, per l’intera mattinata, una tavola rotonda dal titolo eloquente:”Crisi, equità e sviluppo” coordinata dal vicedirettore del Corriere della Sera, Mucchetti, con professori e economisti di diverse università e Giovannini, presidente dell’Istat. Poi la proiezione di un bel film documentario su Federico Caffè a cura di Augusto Frascatani e Fabio Rosi e infine la testimonianza di chi il professore ha avuto modo di incontrarlo, parlarci, confrontarsi. La nipote Giovanna, tra gli altri, e il sindacalista della Cgil Antonio Lettieri ,che ha avuto il piacere di lunghe conversazioni con lui, il docente Massimo Tegolini, che seguiva le sue lezioni negli anni Settanta e poi ha tenacemente lavorato, con l’aiuto della preside di un Istituto tecnico, per intitolare a lui la scuola, la “Federico Caffè” appunto , nel quartiere Monteverde di Roma, dove gli è stata anche dedicata una strada, Largo Federico Caffè.

Federico Caffè era un uomo angosciato quando scomparve, molti lo consideravano “demodé”, ricorda Ermanno Rea, forse egli stesso si considerava tale, ma questa volta la sua analisi era sbagliata. C’è solo una certezza: il mistero di una fuga che sarebbe rimasto tale per sempre. “Il perché di tanta certezza - conclude Rea - è presto detto. Lui aveva deciso così, e uomini di quel calibro difficilmente elaborano progetti fallibili”. Il mistero della sua dissolvenza “ci sprona a interrogarci sul suo modo di concepire l’economia come scienza al servizio dell’uomo e non a servizio del profitto”.

> LE IMMAGINI DI FEDERICO CAFFE' (FOTOGALLERY)