Elezioni presidenziali in Egitto


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Una poltrona per dodici

Solo cinque i nomi in odore di ballottaggio

La successione al “presidente-faraone” Hosni Mubarak in Egitto è una corsa a dodici, ma solo pochi candidati hanno una chance reale di approdare al ballottaggio. Il ritorno alle urne il 16 e 17 giugno appare del resto assai probabile: l’unico dato su cui concordano i sondaggi è che tutti gli aspiranti sono ben lontani dal 50% dei voti più uno necessari per la vittoria al primo turno.

Tredici i pretendenti ai blocchi di partenza, dopo la “sforbiciata” decisa dalla Commissione elettorale, che ha escluso – provocando dure proteste – tre personaggi di primo piano: il candidato dei salafiti (islamici radicali) Hazem Salah Abu Ismail, la prima scelta della Fratellanza musulmana (islamici moderati) Khairat El Shater, e l’ex capo dell’intelligence al tempo di Mubarak, Omar Suleiman. Uno dei candidati ammessi, Mohammed Fawzi Isa, si è poi ritirato, dichiarando il proprio sostegno ad Amr Moussa.


Stando ai tanto numerosi quanto discordanti sondaggi, però, i “papabili” non sono più di cinque. Eccoli.

Abdel Moneim Abul Fotouh
Medico sessantenne, ha una storia di opposizione al regime cominciata già negli anni Settanta, ai tempi di Anwar Al Sadat. Islamico moderato, ex membro della Fratellanza musulmana, da cui è stato espulso un anno fa proprio perché voleva candidarsi alle presidenziali in contrasto con la decisione di allora del movimento di non schierarsi, nel corso della sua attività politica è stato incarcerato per tre volte, l’ultima nel 2009 (la Fratellanza musulmana è stata a lungo bandita dal regime). Coniuga religiosità e democrazia, proponendosi come il cardine tra secolarismo e islamismo, il candidato della riconciliazione tra le diverse anime dell’Egitto contemporaneo. Ha sostenuto con forza le richieste della Rivoluzione del 2011 – lavorò negli ospedali da campo presso Piazza Tahrir – e ha criticato aspramente la gestione della transizione da parte del Supremo Consiglio delle Forze armate. Tenta di calamitare il voto islamico – diviso tra più candidati – ma difficilmente riuscirà a ottenere il voto dei liberali e dei rivoluzionari, che tuttora dubitano del suo moderatismo. E’ fra l’altro sostenuto da una delle forze salafite, il partito Nour.

Mohamed Morsi
E’ diventato il candidato ufficiale della Fratellanza musulmana dopo l’esclusione di El Shater. Figlio di contadini, 61 anni, professore di ingegneria, con un dottorato negli Stati Uniti, è stato parlamentare e ha trascorso vari mesi in carcere nel 2006 per aver protestato contro i brogli alle elezioni dell’anno precedente. Figura importante nel movimento islamico moderato, ha radicalizzato i toni della sua campagna elettorale, infarcita di riferimenti al Corano, promettendo di applicare la Sharia e strizzando l’occhio agli elettori vicini ai salafiti che non si fidano di Fotouh. La sua retorica ha però allarmato molti liberali e soprattutto i non islamici, tra cui i cristiani (il 10% circa degli 82 milioni di egiziani): molti temono discriminazioni e riduzioni della propria libertà personale sotto un presidente espresso dalla Fratellanza musulmana, che già occupa quasi la metà dei seggi in Parlamento. Altri gli rinfacciano invece un carisma troppo modesto.

Amr Moussa
Ministro degli Esteri tra il 1991 e il 2001, molto popolare per la sua retorica anti-israeliana, e poi per un altro decennio segretario della Lega araba, ha 76 anni ed è stato già in passato considerato come uno dei probabili successori di Mubarak. Ritenuto un liberale, è certamente un politico tra i più navigati, ma ha il problema di distanziarsi dal regime che ha servito per molti anni e far dimenticare di essersi schierato con Mubarak fin quasi alla vigilia della Rivoluzione. Durante le rivolte, ha agito da mediatore tra i manifestanti e le autorità, e torna a proporsi in questo ruolo, cercando di raccogliere i consensi tra chi teme l’arrivo di un presidente islamico. I suoi sostenitori lo ritengono l’unico candidato in grado di affrontare, grazie alla sua lunga esperienza, la grave crisi economica, politica ed istituzionale in cui versa il Paese; ma i rivoluzionari, e molti egiziani con loro, diffidano di lui e lo considerano un esponente del passato regime.

Ahmed Shafiq
Leale verso Mubarak fino all’ultimo, ha alle spalle una lunga carriera militare. Ha combattuto contro Israele nel 1973, è stato comandante dell’Aeronautica militare egiziana, poi per un decennio ministro dell’Aviazione civile, infine premier durante la Rivoluzione. Nominato dal presidente 4 giorni dopo l’esplosione della protesta di Piazza Tahrir il 25 gennaio 2011, fu costretto a dimettersi nell’arco di un mese a causa della sua fedeltà al passato regime. Non ha mai condiviso gli ideali dei rivoluzionari, prendendone le distanze, ma ha sempre declinato qualsiasi responsabilità nella repressione delle proteste, soprattutto dopo la strage di dimostranti del 2 febbraio 2011 ad opera di miliziani del regime a dorso di cammello. Non è amato dalle forze islamiche e dai liberali, che lo accusano di corruzione, ma conta sul suo passato nelle Forze armate per attrarre i voti dell’establishment militare e di chi è alla ricerca di un uomo forte in grado di garantire la stabilità. Ha 71 anni.

Hamdeen Sabbahi
Cinquantotto anni, nato in una famiglia contadina, è un nasseriano, cioè un seguace dell’ideologia del presidente Gamal Abdel Nasser (morto nel 1970), intessuta di socialismo statalista e nazionalismo panarabo. Figura di spicco dell’opposizione già ai tempi di Sadat, è stato incarcerato più volte, l’ultima nel 2003 per aver protestato contro l’invasione americana dell’Iraq. Lasciato il Partito nasseriano, nel 1996 fonda una nuova formazione, Karama (Dignità), al bando fino allo scorso anno. Dal 2000 al 2010 è stato in Parlamento come indipendente. In prima fila durante la Rivoluzione, ha criticato con forza i generali del Supremo Consiglio delle Forze armate, rifiutandosi di partecipare alla scrittura della nuova Costituzione finché i militari resteranno al potere. Ama presentarsi come il “presidente dei poveri”. Nonostante la sua storia politica, tuttavia, incontra solo in parte i favori della sinistra e delle forze rivoluzionarie. In campagna elettorale, è stato però capace di radunare folle oceaniche.

I restanti sette candidati non sembrano avere un sostegno tale da poter rivestire un ruolo di rilievo, fosse pure quello dell’outsider, in questa tornata elettorale. Sono l’altro candidato delle sinistre Khaled Ali, avvocato e attivista quarantenne, noto per la lotta alla corruzione, forse il candidato più vicino alle istanze dei giovani rivoluzionari; il socialista Abul Ezz Al Hariry; il salafita Abdullah Al Ashal; l’altro islamico Mohamed Selim Al Awa; Hesham Al Bastawisi, Hossam Khairallah e Mahmud Hossal Galal.