di Roberta Balzotti “Mi sento come una vergine la prima notte di nozze”, dice Francesco Guccini, sistemandosi il cappello quadrato e la toga, in occasione della consegna delle lauree all’American University di Roma, che gli ha conferito il titolo di dottore in letteratura ‘honoris causa’. “Erano anni – rivela – che sognavo di partecipare a una cerimonia come questa, che vedevo nei film americani, con tante belle ragazze, e di mettere questo cappelletto con queste frange”.
Un lungo rapporto, a tratti contrastato, quello tra il cantautore bolognese e l’America, che si ritrova nella sua discografia, da ‘Amerigo’ a ‘Canzone per Silvia’. “Il mio primo incontro con gli americani – racconta – è stato nell’ottobre del 1944. Ero un bambino di quattro anni. Arrivò un camion di soldati che tiravano ogni ben di Dio. Mi fecero conoscere il chewing gum. Non sapevo cosa fosse. Masticavo, masticavo ma quella caramella non si scioglieva; e, allora, l’ingoiai”.
E’ un fiume in piena di ricordi, Guccini: “Mi avevano dato i gradi da sergente sulla manica della camicia e andavo a mangiare alla cucina da campo. E loro venivano a mangiare polenta fritta da mia nonna, che aveva un mulino, e a giocare a tombola. Quando sono andati via ho pianto. Mio padre era in un campo di concentramento e loro sono stati il padre che non avevo”.
Guccini racconta l’incontro avvenuto anni dopo con scrittori e poeti della Beat generation: “Ho amato Jack Kerouac, e il suo ‘On the road’, quando uscì in Italia, mi appassionò moltissimo; anche se, a ripensarci ora, non è questo capolavoro. Ho conosciuto Allen Ginsberg a Conegliano. Eravamo un gruppo di cantautori, c’era anche De André. E ho conosciuto Gregory Corso, in una notte di fuoco a Bologna. Una notte di fuoco vero, perché era scoppiato un incendio in una segheria e andammo a curiosare. Lui portò una bottiglia di vino. Facemmo l’alba. Poi io sono andato ad insegnare agli americani, come facevo a quel tempo (ha insegnato per anni in un campus americano nella sua città, n.d.r.), e all’ora di pranzo sono partito per un concerto a Teramo, in onore di un ragazzo arrestato in Turchia per aver fumato marijuana; e la sera, senza voce, cantai al Mattatoio a Roma”.
Negli Stati Uniti, Guccini c’è stato diverse volte in passato. “Ho anche avuto una fidanzata americana. Pare sia il modo migliore per imparare l’inglese. Ma adesso non so più parlarlo”, confessa. Continua a mantenere i rapporti Oltreoceano con amici ed ex studenti, ma negli Usa non va più da anni: “Ci sono troppi controlli severi, giustamente, alle dogane e poi non si può più fumare da nessuna parte – dice scherzando - Oggi come oggi per me l’America è lontana. Però è una nazione che ci ha influenzato moltissimo e ancora, in molti modi, ci influenza”.