Corsa all'Eliseo, prima tappa


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I programmi dei maggiori contendenti

I temi economici dominano la campagna elettorale slogan_sarkozy_296

Da un lato, “La Francia forte” di Sarkozy; dall’altro, “Cambiare adesso” di Hollande. Gli slogan dei maggiori sfidanti suonano quasi scontati, nell’eterna contrapposizione tra le due anime della politica d’Oltralpe.

Il declassamento della Francia ad opera di Standard&Poor’s nel gennaio scorso ha determinato la prevalenza dei temi economici nella campagna presidenziale. Hollande è tornato in sella al cavallo di battaglia socialista: aumentare le tasse per i più benestanti, con un’aliquota del 75%per chi guadagna più di un milione di euro. Sarkozy propone invece di tassare le transazioni finanziarie per creare nuovo sviluppo. Hollande e Sarkozy concordano sulla necessità di aumentare il salario minimo: il primo vuole indicizzato al Pil, il secondo punta a detassarlo parzialmente, aumentando il reddito netto. Entrambi preconizzano inoltre una sorta di “patriottismo economico”, che incoraggi le aziende a continuare a produrre in Francia e i consumatori a prediligere il “Made in Fance”. Sarkozy non ha alcuna intenzione di toccare la riforma varata nel 2010, che ha portato l’età pensionabile a 62 anni; per l’avversario, bastano invece 42 anni di contributi. Hollande promette l’assunzione di 60mila docenti; per il suo rivale si tratta di un progetto che la crisi economica rende irrealistico.

Hollande punta a legiferare sul fine vita, non escludendo la legalizzazione dell’eutanasia, istituire i matrimoni tra omosessuali, concedere il voto agli immigrati alle elezioni amministrative, rinegoziare il ruolo della Francia in seno alla Nato e creare mille nuovi posti di lavoro all’anno tra le forze di polizia. Sarkozy vuole introdurre il pareggio di bilancio nella Costituzione, continuare a puntare sull’energia nucleare e superare la norma sulle 35 ore di lavoro mediante “accordi di competitività”.

Divergenze profonde riguardano l’immigrazione: per Sarkozy va limitata dagli attuali 180mila arrivi annui a un massimo di 100mila, mentre per Hollande, sarà il Parlamento a dover valutare di anno in anno che cosa consente il mercato del lavoro. Per il resto, i due tengono fede al classico gioco delle parti, che da decenni vede gollisti e socialisti confrontarsi sul ruolo che lo Stato deve avere nella vita di tutti i giorni dei cittadini. L’impressione generale è che, alla fine, anche la Francia dovrà mettere da parte i residui sogni di “grandeur” e fare seriamente i conti con una crisi economica globale, che non guarda in faccia nessuno e che costringerà il vincitore della contesa a compiere scelte obbligate, se non impopolari.

(R. F.)