Medicina


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Buttano 35 milioni l’anno i celiaci 'presunti'

Boom delle diete senza glutine, ma molto spesso non servono senza_glutine_296

di Maurizio Righetti

Autoconvincersi di avere una malattia è una malattia. Di natura psicologica. Spesso grave e con conseguenze sempre serie. Particolarmente insidiosi sono gli esiti dell’“autoanalisi” nei casi di presunta celiachia. Con risvolti sociali, specie in termini di costi economici, decisamente ragguardevoli.

Spesso gli esami non hanno validità scientifica
I sintomi sono vaghi, ma fastidiosi: dolori o gonfiori addominali, stanchezza, difficoltà di concentrazione. Così si pensa a un'intolleranza alimentare e ci si imbarca in una serie di esami che spesso non hanno validità scientifica o possono perfino portare a conseguenze molto serie se eseguiti senza le necessarie cautele, come è successo pochi giorni fa alle tre vittime del “caso sorbitolo” che è costato la vita a una ventinovenne. Moltissimi incolpano i cibi dei loro disturbi e, secondo le stime dell'Associazione Italiana Celiachia (Aic), sono circa un milione gli italiani che si sono convinti di soffrire di una ipersensibilità al glutine e ogni anno spendono circa 35 milioni di euro di prodotti senza glutine non necessari.

Elisabetta Tosi: “Una moda che può diventare causa di mancate diagnosi”
“Il beneficio di questi alimenti rispetto ai sintomi o alla cosiddetta “falsa celiachia” spesso auto diagnosticata è discutibile” sostiene la Presidente AIC, Elisabetta Tosi, “Inoltre questa moda del momento può diventare causa di mancate diagnosi: sottoponendosi a una dieta di esclusione fai da te c'è infatti il rischio di non diagnosticare adeguatamente casi di vera celiachia.” E c'è pure una consistente fetta di popolazione che acquista i prodotti senza glutine, molto più cari di quelli normali, perché li ritiene erroneamente più sani o dimagranti: lo hanno ricordato gli esperti durante il Congresso Internazionale “Le Nuove Frontiere della Celiachia: un Aggiornamento dalla Ricerca di Base a quella Clinica”, organizzato dall'Aic a Firenze, durante il quale si è fatto il punto sulle attuali, reali conoscenze sulla sensibilità al glutine.

Adriano Pucci: stare alla larga dal sensazionalismo
“Il business della falsa celiachia ha iniziato a diffondersi quando, circa un anno fa, uno studio italo-americano ha rivelato l'esistenza di una forma di sensibilità al glutine diversa dalla celiachia, che è però ancora tutta da studiare e verificare – spiega Adriano Pucci, presidente della Fondazione Celiachia -. Si tratta in sostanza di una sindrome che provoca sintomi simili a quelli della celiachia, come dolori o gonfiori addominali, ma senza che siano presenti segni oggettivi riscontrabili di malattia. Ma la reale incidenza e le caratteristiche della sindrome sono tutte da verificare, perciò è opportuno che non si instauri una “moda” e si stia alla larga dal sensazionalismo”. “L’errata convinzione che la dieta senza glutine sia benefica per tutti porta all'idea che la stessa celiachia sia una condizione alimentare scelta dal consumatore – osserva Tosi -. Anche l’Europa sta mettendo in dubbio che la celiachia meriti una regolamentazione specifica, tentando di smantellare la normativa che garantisce la sicurezza dei prodotti senza glutine dalla fine degli anni ’70. In Italia la dieta senza glutine dei celiaci è sostenuta dal Sistema Sanitario Nazionale perché la celiachia è una vera e propria malattia che, senza una stretta dieta senza glutine, può avere serie conseguenze sulla salute che vanno dal malassorbimento di nutrienti essenziali all'infertilità, dalle malattie autoimmuni all'osteoporosi.

Celiachia e sensibilità al glutine non sono la stessa cosa
Celiachia e sensibilità al glutine sono perciò due entità ben diverse e la seconda in ogni caso non sembra essere associata ad alcuno dei gravi effetti della celiachia. Soprattutto, chi si sottopone alla dieta di esclusione senza controllo medico va incontro a rischi elevati perché ad esempio salta i necessari accertamenti diagnostici per verificare l’esistenza della vera celiachia. Poiché questa nuova malattia si basa solo sulle sensazioni del paziente è necessario che ad occuparsene siano gli specialisti e non i pazienti stessi che, pensando di mettersi al riparo, comprano alimenti senza glutine alimentando un business ormai milionario”, conclude Tosi.

Il 60% dei celiaci veri non resiste ai cibi “vietati”
Uscire a mangiare una pizza senza preoccuparsi per una volta che sia senza glutine. Ordinare un piatto di pasta in un ristorante qualsiasi. Mangiare i biscotti normali che tanto ci piacevano e non esistono nella versione per celiaci. A questi desideri pensano quasi ogni giorno sei celiaci su dieci, per il due per cento si tratta addirittura di un'idea fissa; così il 60 per cento dei pazienti trasgredisce sporadicamente, anche se di solito non più di una volta al mese, e il 15 per cento lo ha fatto negli ultimi trenta giorni. Ma regole e precauzioni non vengono ignorate per sfida, perché si vuole nascondere la propria malattia o si pensa che il gesto non abbia conseguenze sulla propria salute: l'80 per cento dei pazienti non prova piacere nella trasgressione e il 70 per cento sa che il proprio comportamento potrebbe rivelarsi pericoloso, così dopo aver mangiato un cibo “proibito” solo il quattro per cento si sente realmente soddisfatto. Gli altri si sentono in colpa e in un caso su cinque non ne parlano a nessuno, men che meno al medico: solo il 3 per cento gli confessa la propria trasgressione a tavola. L'indagine “Non seguo la dieta perché...” è stata condotta dall'Osservatorio di AIC su un campione, rappresentativo della popolazione dei celiaci italiani, di oltre 3000 pazienti di tutte le regioni, ai quali è stato sottoposto un questionario di circa cento domande mirate a capire come vivono la loro malattia e soprattutto quanto seguono la dieta priva di glutine.

Cleto Corposanto: “L'alimentazione di esclusione è tuttora l'unica terapia”
“L'alimentazione di esclusione è tuttora l'unica “terapia” per la celiachia ed è perciò molto importante che i pazienti la seguano per evitare un peggioramento dei sintomi – spiega Cleto Corposanto, Responsabile dell'Osservatorio AIC - Si tratta però indubbiamente di un regime alimentare che richiede un certo impegno, perché procurarsi prodotti privi di glutine costa e quando si mangia fuori casa in alcuni casi può essere complicato trovare cibi per celiaci. La difficoltà nel seguire la dieta senza glutine è perciò molto sentita dai pazienti, che infatti nel 60 per cento dei casi fanno almeno occasionalmente uno strappo alle regole: l'indagine mostra che quasi la metà dei celiaci ritiene molto complicato non trasgredire, per il 35 per cento si tratta di un regime alimentare troppo rigido e uno su quattro si è stufato di seguire la dieta. Il 15 per cento pensa che infrangere le regole ogni tanto non crei problemi e il 12 per cento trasgredisce perché pensa che mangiare assieme ad altri sia più importante che seguire la dieta; solo un celiaco su dieci però crede che mangiare cibi con glutine non sia pericoloso o lo fa per capire se realmente può esserlo; infine, appena il 4 per cento dei pazienti mangia alimenti proibiti per puro piacere personale o per nascondere la malattia”.

Cene al ristorante: la principale occasione di “trasgressione”
Nel 60 per cento dei casi i pazienti trasgrediscono una sola volta al mese, ma in un terzo dei casi i cibi proibiti arrivano in tavola alcune volte al mese e nel 7 per cento molte volte. Le occasioni in cui è più probabile che venga voglia di dimenticare per un attimo restrizioni e regole sono le cene al ristorante con familiari o amici (30 per cento), i viaggi in compagnia (27 per cento), le serate a casa di amici (25 per cento) o una pausa al bar chiacchierando con qualcuno (15 per cento); solo l'11 per cento trasgredisce a casa, da solo. “I dati indicano che in quasi quattro casi su dieci il paziente, dopo aver mangiato cibi con glutine, soffre e si sente in colpa: appena il 4 per cento sta bene e prova gratificazione dal cibo proibito – prosegue Corposanto - Così uno su cinque non ne parla con nessuno o sceglie un familiare per “confessare” di avere trasgredito. Ma quel che è grave è che appena il 3 per cento senta il bisogno di riferirlo al medico: eppure infrangere le regole, soprattutto se diventa un'abitudine, può essere rischioso perché può far ricomparire i sintomi della malattia.

Alimenti per celiaci: sarebbe opportuno avere maggiore varietà e minori prezzi
Per ridurre la comprensibile voglia di trasgressione dei celiaci occorrerebbe perciò aumentare la disponibilità e la varietà dei prodotti senza glutine, magari diminuendone anche il prezzo: un'indagine di Aic sui costi della dieta senza glutine ha rivelato che un paniere di dodici dei prodotti più spesso utilizzati in cucina (come pane, pasta, farina e preparati per pizze, biscotti e merendine, prodotti pronti surgelati) costa al celiaco da 40 a 60 euro, a fronte di prezzi che si aggirano sui 25 euro nel caso di alimenti “normali”. La spesa elevata è ovviamente un deterrente all'acquisto, per cui sarebbe senza dubbio opportuno calmierare i prezzi: oggi gli oltre 120 mila celiaci italiani spendono per gli alimenti speciali più di 140 milioni di euro in farmacia, poco meno di 15 milioni nei negozi specializzati e 45 milioni di euro nella grande distribuzione. E purtroppo circa 50 milioni di euro “sforano” i rimborsi coperti dal Servizio Sanitario Nazionale e devono essere spesi dai pazienti di tasca propria”, conclude Corposanto.