Un anno e mezzo fa Aung San Suu Kyi era ancora prigioniera in casa; ieri è stata eletta in Parlamento. Un apparente lieto fine per la leader dell'opposizione birmana, che per gli ideali di libertà e giustizia nel suo Paese ha compiuto enormi sacrifici personali.
Ma come ha ricordato più volte lei stessa, nonostante la fiducia riposta nel nuovo presidente birmano, Thein Sein, e l'apprezzamento per le riforme da lui introdotte nell'ultimo anno, la via verso la democrazia in Birmania è ancora lunga.
Liberata nel novembre 2010 dopo sette anni agli arresti domiciliari (e 15 degli ultimi 22 passati in detenzione), negli ultimi mesi "la Signora" (66 anni) ha finalmente riabbracciato un popolo che in larga parte l'adora, in comizi dove è stata accolta come una rockstar da centinaia di migliaia di sostenitori in festa. Prima di lanciarsi in una campagna elettorale nazionale che ha messo a dura prova le sue forze - domenica scorsa l'ha sospesa, tanto era debilitata - Suu Kyi aveva già un'agenda fitta: oltre a lavorare al rilancio della sua Lega Nazionale per la Democrazia (Nld), ha incontrato ministri degli esteri, diplomatici, investitori stranieri.
L'atteggiamento del Nobel per la Pace, in passato conosciuta come una "irriducibile" poco disposta a qualsiasi compromesso con l'ex giunta militare, è nel frattempo cambiato. Già prima del rilascio aveva adottato un approccio più pragmatico, tendendo la mano al regime (senza essere corrisposta) e segnalando il bisogno di giungere a una riconciliazione.
Una volta libera, l'iniziale cautela nel testare i suoi spazi di manovra ha lasciato gradualmente spazio a una maggiore decisione. Preferendo la retorica (una dei suoi slogan è "per una Birmania libera della paura") a specifiche promesse politiche, ora segnala anche il bisogno di cambiare la Costituzione, che assegna il 25% dei seggi in Parlamento ai militari: tema che potrebbe portare a future tensioni.
E' abbastanza chiaro che Thein Sein la vuole comunque in Parlamento, se non altro per dare legittimità al "nuovo corso" birmano e arrivare alla rimozione delle sanzioni occidentali. Si parla anche di un possibile incarico di governo, magari nel campo delle relazioni con l'estero, eventualità sulla quale "la Signora" si è mantenuta vaga.
Entrambi i campi sono consapevoli della necessità di posizionarsi politicamente in vista delle elezioni del 2015. Ma per Suu Kyi, che nel 1990 era già agli arresti domiciliari mentre la sua Nld trionfava in elezioni mai onorate dal regime, è già un risultato che fino a poco tempo fa sembrava impensabile.