Dal blog di Alessandro Portelli, docente di letteratura americana alla facoltà di Scienze Umanistiche dell’ Università la Sapienza di Roma. Pubblichiamo un estratto, con il consenso dell’autore, che ringraziamo.
Wrecking Ball è il disco della Grande Crisi del terzo millennio, che ha distrutto le città e i rapporti sociali senza bisogno di bombe e cannoni, semplicemente con le armi della speculazione d’azzardo e del capitale finanziario. La metafora portante, introdotta dalla prima canzone, We Take Care of Our Own, è New Orleans e l’uragano Katrina: la crisi attuale è come il momento terribile in cui i rifugiati dall’uragano erano ammassati nel palazzo dello sport di New Orleans, lasciati a se stessi, senza soccorsi. Alla fine per sopravvivere hanno dovuto trovare un modo di stare insieme e di cavarsela da soli.
Da Steinbeck a Woody Guthrie a Via col vento
Da Furore di Steinbeck e John Ford alle Dustbowl Ballads di Woody Guthrie fino a Via col Vento di Margaret Mitchell e Victor Fleming, le tempeste di polvere, le alluvioni, persino la Guerra Civile sono tutte metafore di catastrofi che sfidano la nostra sopravvivenza. E’ un immaginario condiviso, a sinistra in termini di solidarietà (Steinbeck, Guthrie) come a destra in termini di egoismo (“dovessi rubare o uccidere, non avrò fame mai più: Scarlet O’Hara in Via col Vento). Negli Stati Uniti infatti il conflitto culturale e politico non avviene fra sistemi simbolici contrapposti, ma sul significato di simboli condivisi – chi decide che cosa significano la patria, la religione, la bandiera, la libertà, e a chi appartengono? Bruce Springsteen questo lo ha capito fin da Born in the USA , e qui lo sviluppa dando a questa narrativa condivisa e contesa una declinazione democratica, progressista, direi anche di classe: quello che ci permetterà di uscire dalla crisi di oggi non sarà la guerra di tutti contro tutti, ma la capacità di riconoscerci come simili, la solidarietà, la visione del futuro. La bandiera, pure subito evocata, non è il simbolo che ci separa dagli altri, ma quello che ci unisce – e infatti sta insieme ad altri simboli: il lavoro, la pala piantata nella terra (“la figlia della libertà è una camicia sudata”); la memoria, la catena che legava fra loro gli schiavi e i forzati, che li opprimeva e li univa (Shackled and Drawn); la socialità proletaria del baseball e della birra (Wrecking Ball).
Le risorse: comunità, lavoro, fede, affetti
La risorsa su cui contare dunque è una cultura operaia fatta di lavoro, di comunità, di fede e di affetti – altri simboli condivisi e contesi. Negli ultimi quarant’anni certi simboli proletari hanno preso un giro di destra, contrapponendo la virtù della laboriosità operaia alla presunta fannullaggine degli hippies, dei neri e degli immigrati, che vivrebbero di sussidi e di welfare (e guarda caso, il lavoro è uno degli immensi silenzi della controcultura e di quasi tutto il rock). E invece Bruce Springsteen spiega che tutte queste cose significano esattamente il contrario.
“Springsteen, a 60 anni, ha una inesauribile capacità di imparare”
In questo disco, Springsteen intreccia la conoscenza della storia sociale con quella di tutta la tradizione musicale americana. Per Rocky Ground si ispira a un brano del Sacred Harp (una forma arcaica di polifonia sacra ancora diffusa nel Sud), e lo campiona da una registrazione sul campo di Alan Lomax negli anni ’50; usa i suoni delle canzoni antimilitariste irlandesi per denunciare la guerra senz’armi di speculatori e banchieri; richiama continuamente Woody Guthrie (“i giocatori d’azzardo ingrassano, i lavoratori sono sempre più smunti” è una citazione diretta; in American Land, la figura dei migranti morti nelle fabbriche e nei campi e dei loro nomi perduti viene da Deportee, una canzone di Guthrie che anche lui ha inciso). Land of Hope and Dreams riscrive e rovescia una canzone gospel amata da Guthrie come da Big Bill Broonzy – This train… Loro dicevano: “questo treno non porta giocatori d’azzardo, non porta puttane…” E lui invece: “questo treno porta puttane, porta giocatori, porta vincitori e perdenti”. Sul treno di Bruce c’è posto per tutti. Questa è la sua gente, our own.
American land, il passato è il futuro
Anche in American Land si passa per le Seeger Sessions: è una canzone di immigrazione slovacca di inizio secolo, che Pete Seeger ha tradotto e inciso mezzo secolo fa. Springsteen riprende la prima strofa – “che cos’è quest’America, perché tutti ci vanno? Ci andrò anch’io finché sono giovane, ci ritroveremo laggiù nella terra americana”. La canzone tradizionale finiva in tragedia – quando lei finalmente lo raggiunge, trova che è morto in fabbrica e nella terra americana lo possono solo seppellire. Springsteen allarga il discorso: gli immigrati immaginano un terra coi diamanti nelle strade e la birra che esce dai rubinetti, ma dopo che si sono ammazzati per costruirla con le loro mani l'America continua a reprimerli e ignorarli. Questa gente ha cognomi greci, irlandesi, slavi, italiani – e il cognome italiano che cita è Zerilli, il cognome di sua madre. Ecco chi è our own per Bruce Springsteen: i migranti come i suoi nonni, gli operai come suo padre. La storia che continua a imparare è la sua.
E’ solo rock and roll
Questo però non è un saggio storico o politico – è rock and roll. Ma fino dagli inizi della sua carriera, Springsteen ha trattato il rock and roll come musica tradizionale, folk music del nostro tempo, eredità culturale della sua generazione e della sua classe. Anche per questo è capace di integrarci dentro tutta la storia in musica del popolo americano, dal Sacred Harp a Woody Gutrhrie, dal blues e gospel alle canzoni dei migranti. We take care of our own significa anche questo: non ci dimentichiamo di quello che è nostro, perché è grazie a questo che we are alive, siamo vivi nonostante tutto.