di Francesco Chyurlia
A volte le cifre parlano più di tante parole. E’ il caso della ricerca elaborata dall'Isfol sui lavoratori parasubordinati, realizzata attraverso dati dell’Inps. Il quadro che emerge mette in evidenza diversi aspetti eclatanti: la precarietà del mondo del lavoro italiano, le disparità nelle varie tipologie contrattuali e le inaccettabili differenze di genere all’interno nelle retribuzioni dei diversi contratti. Per la Cgil i contratti a progetto, che coinvolgono quasi 700 mila persone, “servono a mascherare contratti di lavoro dipendente da falso lavoro autonomo per pagare meno contributi e un salario più basso”.
Al direttore generale dell’Isfol, Aviana Bulgarelli, chiediamo di evidenziarci gli elementi più importanti della ricerca e questa anomalia italiana che allontana gli uomini dalle donne nel mondo del lavoro.
“Tra i lavoratori parasubordinati, sono pagati più gli uomini delle donne. Le differenze retributive sono altissime, nel lavoro parasubordinato le donne guadagnano la metà degli uomini, non è così nel lavoro dipendente. Nei Co.co.pro e nei Co.co.co. gli uomini hanno una retribuzione media annua lordo di 13mila euro e le donne di 7.500”.
E’ un divario spaventoso…
“Sì, è spaventoso. Anche nel lavoro dipendente c’è un divario retributivo notevole: per gli uomini la media è di 18 mila euro l’anno, mentre per le donne la media e di circa 14 mila. C’è una differenza retributiva di genere che si acuisce soprattutto nel lavoro parasubordinato. In Italia è superiore rispetto agli altri Paesi europei”.
Perché? Negli altri Paesi europei la situazione è così diversa? Forse da noi c’è un eccesso di flessibilità che si traduce in precarietà?
“La situazione non va presa solo in maniera puntiforme, ma va letta in maniera globale. Parlare di diverse tipologie contrattuali dipende molto dal contesto e dalle forme di tutele. Dove le tutele riguardano tutti gli aspetti della vita professionale di una persona. Quindi non solo le tutele in uscita ma anche quelle delle varie formule contrattuali. E’ difficile dire cosa dovremmo fare in modo puntiforme. Il tavolo governo-parti sociali sta affrontando, secondo me in modo corretto, la questione dei contratti in maniera globale. Quindi non solo contratti ma tutta la partita contratti, tutele, ammortizzatori”.
Rispetto al resto d’Europa siamo sempre il fanalino di coda…
“E’ difficile fare paragoni con gli altri Paesi. Ci sono Paesi che hanno una gran quantità di tipologie contrattuali flessibili, come l’Olanda, ma ha anche un sistema di tutele diverso dal nostro. Oppure la Danimarca che ha pochissime tipologie contrattuali, Il contratto prevalente è a tempo indeterminato, ma ha però maggiore flessibilità in uscita”.
Allora, quali sono gli elementi prioritari da prendere in considerazione e quali i problemi da risolvere?
“Quello che colpisce sono le differenze retributive tra le varie forme contrattuali di lavoro dipendente e parasubordinato e all’interno di queste due categorie, c’è un forte gap tra quanto percepisce mediamente un uomo e quanto una donna. Poi,c’è il costo del lavoro in Italia, che è più alto che all’estero. E c’è un problema, evidenziato dall’Eurostat, giorni fa di retribuzioni notevolmente più basse rispetto agli altri Partner europei. Ma, purtroppo c’è anche il nodo, da sciogliere, di una più bassa produttività rispetto agli altri Paesi maggiormente industrializzati”.