di Federica Marino
Capita a volte, camminando soprappensiero, di inciampare: un ostacolo imprevisto interrompe e destabilizza il passo, ferma il percorso. Si riprende a camminare con più attenzione, richiamati da quell’inciampo a una maggiore presenza: è come se l’ostacolo che ha spezzato il ritmo distratto dei passi fosse non solo disturbo ma anzi ausilio, strumento per camminare meglio, più consapevoli della strada fatta e di quella ancora da fare.
Quando la strada è quella collettiva – e si chiama storia – la distrazione è sempre in agguato, come il rischio di dimenticare quello che è stato: per questo nel 2000 l’Italia ha istituito con la legge 211 e fissato al 27 gennaio il Giorno della memoria. Nella data in cui nel 1945 furono abbattuti i cancelli del lager di Auschwitz, il nostro Paese come tanti altri ricorda “la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati”.
Tante, ogni anno, le iniziative per ricordare e insegnare “che questo è stato”, in Italia e in Europa: da tre anni a Roma (e presto in altre città italiane) è attivo il progetto artistico Memorie d’inciampo: pietre dorate che mescolate a quelle consuete attirano lo sguardo, interrompono il passo, chiedono riflessione e fanno riprendere il cammino più attenti.
Incisi sulla superficie lucida della pietra ricoperta d’ottone, un nome e due date: quella di nascita e quella di deportazione; quando c’è, anche quella di morte, con il luogo. Ideatore del progetto è l’artista berlinese Gunter Demnig. Siamo a Colonia, nel 1993: l’artista si trova lì per un’iniziativa che ricorda la deportazione di mille sinti, quando un’anziana signora gli si rivolge negando recisamente che quella deportazione sia mai avvenuta. Di fronte all’amnesia della donna, Demnig decide di restituire memoria di coloro che, travolti dall’ideologia nazista, scomparvero dal mondo. Da qui la scelta di riportarne i nomi davanti alle case da cui furono strappati, l’ultimo luogo in cui furono persone prima di diventare numeri di una contabilità di morte.
Nel 1995 la prima “Stolperstein”, pietra d’inciampo, proprio a Colonia: l’idea prende rapidamente piede e sono oggi oltre ventisettemila le pietre d’inciampo in Germania, Austria, Ungheria, Cecoslovacchia, Ucraina, Polonia, Paesi Bassi e Belgio. A Roma sono 144 i sanpietrini dorati spuntati tra quelli grigi.
A Gunter Demnig abbiamo chiesto:
Lei è tedesco: come ha raggiunto la consapevolezza della Shoah? Quanto l'appartenere a un popolo il cui regime ha avuto molte responsabilità a proposito l'ha influenzata, portandola a ideare il progetto Pietre d'inciampo?
Io in un certo senso sono felice di trasmettere questo messaggio come tedesco: lo sterminio di massa e il genocidio, anche nei confronti del proprio stesso popolo, partì dalla Germania, quindi anche la commemorazione di questo deve partire da lì. La consapevolezza sul tema non l'ho imparata a scuola bensì in un momento successivo attraverso esperienze/colloqui e contatti.
Ha avuto riscontri o feedback da parenti delle persone cui sono state dedicate le pietre d'inciampo? Di che tipo?
Quasi tutti i familiari sono felici della nostra forma di Memoria: per la maggior parte dei loro morti non hanno una sepoltura ed una pietra tombale, ora c'è almeno una piccola pietra di commemorazione, come monito. Con i parenti ho rapporti a livello globale; Ci sono nipoti dei commemorati che sono venuti addirittura dalla Nuova Zelanda per essere presenti alla posa delle pietre.
A Roma, tre delle pietre d'inciampo posate nei giorni scorsi sono state divelte: il suo commento artistico oltre che civico? Era già successo altrove?
Queste cose succedono; in Germania è accaduto una cinquantina di volte, i neonazisti sono attivi. Tutte le pietre vengono sempre reinstallate.
Oltre Roma, in quante altre città e quali è in corso il progetto? Che accoglienza ha avuto?
A fine gennaio saremo a Genova, in estate a Merano e Brescia; c’è stato interesse da Pisa e Bologna.
L'arte può veramente servire alla memoria? In che modo?
In Germania i giovani sono molto interessati a questo tema, vogliono sapere: come è potuto succedere questo nel "Paese dei poeti e dei pensatori"? Una differenza: nei libri di scuola c'è scritto: sei milioni di Ebrei furono uccisi in Europa. Questo è un numero astratto; il nome di una famiglia davanti a una casa nel vicinato ha un impatto molto più immediato.
Le foto sono di Karin Richter