Un giorno i genitori non sono più riusciti a far uscire il figlio adolescente dalla sua cameretta. Era su Facebook, ininterrottamente, e accettava di aprire la porta solo per prendere qualcosa da mangiare. E’ un caso estremo ma il fenomeno della dipendenza da internet è diventato un problema sociale, una nuova patologia che molti medici si trovano ad affrontare. All’Ospedale delle Molinette, a Torino, esiste dal 2010 un ambulatorio per le nuove dipendenze, uno dei due in Italia. Se ne occupa il prof. Donato Munno, direttore del Dipartimento di Psicologia clinica, che ha preso a cuore questo tipo di “pazienti”.
Quanti casi avete trattato da quando il centro ha aperto?
“All’inizio erano pochi, anche solo uno al mese, poi sono sono diventati uno ogni 15 giorni. Ad un certo punto l’aumento è diventato progressivo. Ora arrivano da noi 3 o 4 persone a settimana. Abbiamo già affrontato oltre 100 casi. Vengono dal Piemonte ma anche da Genova, da Milano. Qualche giorno fa una mamma è arrivata da Bolzano per affidarci il figlio. La maggior parte sono giovani e giovanissimi che non riescono a fare a meno di social network e chat”.
Chi in genere è più colpito da questa dipendenza?
“E’ un fenomeno che non risparmia nessuno. I giovani che cercano una fuga in un mondo virtuale perché non accettano il mondo reale non appartengono ad una sola categoria di persone. Da un indagine che abbiamo fatto fare in alcuni licei di Torino non sono emersi ambienti particolari dove il fenomeno sia più diffuso. Abbiamo solo notato che più predisposti sono i ragazzi che seguono corsi di studi informatici. Siamo convinti di come sia importante far conoscere meglio i rischi della dipendenza. Giorni fa abbiamo organizzato una conferenza in una scuola con esperti di alto livello, anche per parlare dell’ipotesi di fondi Ue per le ‘ludopatie’. Spesso dietro la dipendenza si nasconde un forte disagio familiare. Per esempio, abbiamo avuto in cura un quindicenne che si rifugiava in internet perché rifiutava di vedere la casa invasa da oggetti di ogni tipo comprati dalla madre che aveva una mania da collezionismo”.
Il problema riguarda anche gli adulti?
Dai giovanissimi si passa alle persone mature. Qui il discorso è diverso. Si parla di ‘malattia’, in genere per il gioco d’azzardo. Gli anziani sperano di vincere grosse somme per aiutare i figli, i nipoti, magari a pagare il mutuo, ma combinano grossi guai. Un signore di 80 anni in un mese ha perso 20.000 euro. I figli lo hanno portato qui da noi e sta tentando di smettere. Una signora ha speso tutto quello che aveva,si è rovinata. Hanno dovuto toglierle il controllo del patrimonio e la accompagnano ogni mese a ritirare la pensione. Alla fine è guarita ma il distacco le è costato una dermatite che ora sta curando”.
Quale metodo trovate efficace per risolvere queste patologie?
“Per i ragazzi mentre si inizia una psicoterapia individuale si lavora anche con i genitori per dare chiarimenti e consigli anche perché non reagiscano in modo aggressivo quando i figli diventano aggressivi se gli si limita l’uso del computer. Poi si passa ad una terapia di gruppo. Noi giudichiamo la situazione ‘sotto controllo’ quando le ore al computer non sono più di 4-5. Ma, per certi casi gravi ci è capitato anche di dover ricorrere al ricovero. A volte è l’unica soluzione per far allontanare da internet giovani che una volta qui, all’inizio, in un certo senso soffrono di una forma di astinenza. Nei casi davvero estremi, c’è anche una nuova possibilità: passare un certo periodo in una comunità dedicata a questo tipo di dipendenze. Ne esiste una a Rivoli che si chiama Lucignolo”.
Ci sono casi che non è riuscito a risolvere?
“Quello di un ventenne che gioca su internet ma ne ha fatto un lavoro perché da tre anni vince sempre e ha già guadagnato 300 mila euro. E’ arrivato qui portato dalla Polizia con un ricovero obbligatorio. Aveva picchiato la madre che insisteva perché smettesse. Non ha riconosciuto la patologia. Il suo è un caso di utilizzo consapevole del gioco a fine economico”. (F.R.)